A cosa serve il giornalismo?

Dal business model che va cambiato, ma non abbiamo ancora capito come, all’intelligenza artificiale che minaccia di sostituirci, dal Citizen journalism, per cui chiunque con uno smartphone può fare giornalismo, ai social media – non più solo social network- che ormai sono fonti privilegiate di notizie.

Pare che il destino del giornalismo professionale sia segnato.

Ogni giorno leggo sedicenti esperti, quasi mai giornalisti, che si dilettano a parlare della nostra professione, snocciolando numeri, tendenze, previsioni, invocando ora scenari apocalittici in cui saremo tutti sostituiti dall’AI generativa, ora quadri più ottimistici dove qualcuno di noi si salverà perché l’AI mica le sa fare le interviste.

Fatemi capire una cosa: a cosa credete serva il giornalismo?

Perché se credete che basta l’AI a sostituire il giornalismo, vuol dire che di questa professione non abbiamo capito nulla. E ci metto per primi quelli che la praticano.

Mentre pensate alla risposta, io vado avanti a massacrarmi e massacrarvi l’animo con la benedetta Intelligenza Artificiale, che io in realtà adoro e non temo perché ho capito come usarla ed è una figata pazzesca. E non può occuparsi di giornalismo. Non potrà mai farlo. Ma sereni che ora ve lo spiego.

Il cosiddetto giornalismo automatizzato (Joseph Pultizer, perdonaci!) non è nato con ChatGpt a novembre 2022. C’è da un po’.

Nel 2020, Microsoft ha licenziato decine di giornalisti, sostituendoli con algoritmi in grado di svolgere gli stessi compiti più velocemente, con meno soldi e con una migliore precisione.

La nuova tecnologia ha persino trovato la sua strada in media  come il Wall Street Journall’Associated PressForbes e Reuters. Molte società di media, riluttanti a utilizzare il giornalismo automatizzato per sostituire i giornalisti, hanno comunque incorporato una qualche forma di intelligenza artificiale nelle loro strutture aziendali, come “Juicer” della BBC che ordina automaticamente gli articoli per argomento, rilevanza e altri fattori, e “Editor” del New York Times che lavora per rendere le informazioni più accessibili taggando automaticamente le frasi chiave.

Mentre il tasso di integrazione dell’IA nel settore dei media cresce, aumentano anche i progressi e i miglioramenti nella tecnologia. Presto, dicono i sedicenti esperti che di giornalismo evidentemente non ne capiscono, potreste non essere in grado di distinguere il giornalismo “reale” da quello “robot”.

Fermi tutti.

Mi dovete perdonare, voi esperti di giornalismo che non siete giornalisti, però vorrei fare un paio di precisazioni su questa professione tanto preziosa quanto poco compresa.

E lo dico come persona che lo pratica da quasi vent’anni (eh già, ho iniziato nell’ormai lontanissimo 2004).

Il giornalismo non è solo scrivere storie, intervistare persone, analizzare dati con spirito critico. Non è solo fare domande scomode, stanare i furbetti, denunciare la corruzione, etc..

Il giornalismo non è nemmeno mera divulgazione (ecco, se fossi un divulgatore o un medical writer, forse mi preoccuperei di più della possibile sostituzione da parte dell’AI).

 Facciamo l’esempio dei terremoti.

L’AI ti può spiegare cosa è un terremoto, e scavando nelle banche dati, ti riesce a dire se il fenomeno è aumentato e magari a cosa può essere dovuto. Stessa cosa può essere fatta da un divulgatore, un cittadino appassionato e competente di scienza, un professore universitario, etc…

 Il giornalismo scientifico non ti spiega solo questo, ma fa qualcosa che i soggetti precedenti non possono fare (non con l’oggettività e la capacità di spaziare tra diversi argomenti, tratti tipici di questa professione): il giornalista collega l’aumento dei fenomeni sismici ad altri fattori naturali, ne rileva le implicazioni nel territorio e della società, solleva domande a geologhi e decisori politici per capire come arginarne le conseguenze. Fa sintesi tra TUTTI gli spetti della questione, provando a suggerire possibili soluzioni (attraverso la sintesi, non l’opinione personale che nel buon giornalismo non dovrebbe percepirsi).

 Un altro esempio, questa volta in campo sanitario.

 Un’AI ti può raccontare quanti medici ci sono in Italia e informare che molti si stanno dimettendo da diverse specialità.

Se io voglio spiegare anche il perché, non lo posso chiedere all’AI, che certo mi risponderà, attingendo a risposte date da altri. L’AI non ragiona, non fa sintesi in proprio, non ha un’opinione su ciò che succede.

Un giornalista sanitario sa quali potrebbero essere le motivazioni e verifica con le fonti appropriate, spiegando alla fine ragioni, radici, cause, e possibili soluzioni.

La capacità umana di avere un’opinione, di sviluppare un pensiero critico, originale, indipendente, è appunto solo umana. La capacità giornalistica fa un ulteriore passo in più (me la sto tirando forse, ma questa professione, credetemi, è dannatamente difficile), va oltre il pensiero critico, mette insieme le diverse visioni e aiuta le persone a comprendere la realtà e tutte le implicazioni, nel modo più oggettivo possibile, mettendo da parte le considerazioni personali.

Almeno, questa è l’evoluzione cui il giornalismo dovrebbe tendere, se vuole sopravvivere e non essere paragonato alla divulgazione o al blogging, attività legittime e bellissime, ma assolutamente diverse dal giornalismo.

Voi la sapete, vero, la differenza tra giornalismo, blogging, divulgazione, etc…?

Ne ho parlato qui.

Allora, ritorniamo alla domanda che ho fatto all’inizio: a cosa serve il giornalismo….OGGI? Così sono ancora più provocatoria, anche nei confronti di colleghi e colleghe.

La definizione classica, che possiamo dedurne da quanto scritto finora, è questa: il giornalismo aiuta a comprendere la realtà che ci circonda, spiegando fatti e accadimenti nel modo più oggettivo possibile, sentendo le varie voci coinvolte.

 Oggi, questo, serve? E in che misura serve se le stesse informazioni si possono trovare online, scritte da blogger, persone comuni o attivisti di vari settori, nessuno dei quali è giornalista?

A cosa serve, se noi per primi non riusciamo a comunicare la differenza tra il nostro lavoro e quello di altri che per professione scrivono, ma non sono giornalisti?

Il giornalismo deve evolversi: se un tempo si limitava a raccontare i fatti, oggi questa attività è svolta da altri attori non giornalisti e anche piuttosto bene.  

Io credo che, al netto di tutte le tecnologie e business model e altre paturnie, tutti noi, giornalisti e lettori, dovremmo riflettere sul senso di questa professione.

Come?

Partiamo dalle basi: il giornalismo può essere informativo, descrittivo e investigativo. Nel primo caso ci si limita a dare una notizia, nel secondo caso si spiega tutto il fenomeno (qui esistono dei parallelismi con la divulgazione, in effetti) nel terzo caso si indagano le ragioni per cui un certo fatto è accaduto e le implicazioni che può avere sulla società, sull’ambiente, sui singoli.

Torniamo ai terremoti.

Facciamo che capita un terremoto in una certa località e che questo provoca 400 morti e distrugge metà del paese.

  • Il giornalismo informativo rende conto del fatto, spiegando cosa è successo, come e quando e quali conseguenze immediate.
  • Quello descrittivo, partendo dal fatto di cronaca, ti spiega cosa sono i terremoti, cosa possono causare e magari accenna alla tendenza degli ultimi anni, il tutto con interviste a esperti.
  • Il giornalismo investigativo indaga non tanto sul perché dei terremoti (che è difficile prevedere) ma perché il fenomeno sismico abbia causato così tanti morti e cedimenti strutturali, perché i fondi stanziati per le case antisismiche non siano stati utilizzati, etc…

Queste tre forme di giornalismo sono tutte nobili, ma mentre la prima, oggi, può essere sostituita da chiunque si metta sui social il giorno stesso del terremoto (ho visto esempi di Citizen journalism fatti molto bene, credetemi) e la seconda può essere fatta da un’AI generativa in cinque secondi o da un bravissimo divulgatore….ci rimane la terza via.

 Il giornalismo investigativo.

Quello che fa domande, unisce i puntini e fa altre domande e unisce altri puntini, propone soluzioni, sottolinea problemi, dando voce a tutte le parti interessate, mettendo da parte la propria opinione.

Aggiungo io, raccontando le storie delle persone. Sono le storie che ci aiutano a capire i fatti. I fatti da soli non ci bastano più.

Il giornalismo è la condivisione dell’esperienza umana personale che non può essere quantificata o ridotta a un insieme di istruzioni.

Ecco perché oggi più che mai il giornalismo deve passare dalla mera spiegazione dei fatti a un approccio che eleva lo sguardo dal fatto e fornisce un quadro di insieme.

Come si fa?

Osservando la trasformazione del giornalismo negli ultimi decenni, risulta evidente che il modo in cui i giornalisti presentano le informazioni ai loro spettatori cambia completamente il significato e l’impatto dell’articolo.

Usando, ad esempio, le storie. Non del giornalista, ma dei protagonisti che il giornalista intervista.

Tipo:

La relazione tra una storia e un lettore, creata da un giornalista, rende chiaro che il giornalismo non potrà mai essere completamente sostituito dall’IA.

Almeno per me è chiaro.

Un esempio (sempre a proposito di terrremoti):

Attenzione, non è che ogni articolo deve essere un report  e per giornalismo investigativo non intendo solo quello nell’ambito del crimine. Anche nel campo della medicina e della scienza sarebbe molto utile il giornalismo investigativo, che pone domande e scopre nuove tendenze, e non si limita solo a descrivere i fenomeni. E le storie devono servire a contestualizzare, non a impietosire o far sensazione.

Come insegna Treccani: investīgare, comp. di in-1 e vestīgare  significa “seguire le tracce”, Ricercare con cura, seguendo ogni traccia, ogni indizio che possa condurre a scoprire, a conoscere, a trovare ciò che si cerca: investigare la volontàle intenzioni di qualcunole ragionii motivi dell’operato di una personale cause di un eventoi misteri dell’universo.

Questo tipo di giornalismo investigativo con al centro le storie delle persone coinvolte, è quello che, a mio avviso, sopravviverà all’AI, che definirà i nuovi modelli di business, che porterà lettori e lettrici ad abbonarsi. Perché saprà offrire qualcosa di unico e di cui tutti abbiamo bisogno: gli strumenti per comprendere quello che succede e perché succede, attraverso i fatti e le storie dei protagonisti.

 Io ho provato a farlo con la mia testata, PERSONE, che parla di medicina partendo dalle storie dei pazienti, caregiver e professionisti sanitari.

Sto lavorando a un altro progetto di cui vi parlerò a breve, e anche qui saranno le storie a guidare la narrazione.

Le persone sono gli elementi più interessanti di qualsiasi storia. E sono le loro storie a farci comprendere meglio la realtà.

 “La storia non è una fuga dalla realtà, ma un veicolo che ci conduce nella nostra ricerca della realtà. È il nostro massimo sforzo per dare un significato all’anarchia dell’esistenza.”

Robert Mckee

Ora rispondete alla domanda: a cosa serve, secondo voi, il giornalismo rispetto a tutto il resto (blogging, social media, divulgazione, etc..)?

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