Schwa o asterisco? Nessuno dei due, grazie

Ho atteso prima di esprimermi su questo tema. So già che molti non digeriranno queste mie parole e chiedo scusa se ferirò qualcuno, non è davvero nelle mie intenzioni.

Ma per me è arrivato il momento di dire la mia. A chi interessa.

Sono giornalista, amante della scrittura e della lingua italiana e da tempo mi domando se l’imposizione dell’asterisco o dello schwa siano davvero la strada giusta per rendere il nostro linguaggio inclusivo.

L’intento è nobile. Anzi nobilissimo e utilissimo. Io mi sforzo di usare i sostantivi al femminile tutte le volte che è possibile e cerco sinonimi per indicare una pluralità di persone che appartengono a sessi diversi. Quando non li trovo, uso i sostantivi al femminile e al maschile (maestri e maestre) anche a costo di essere ridondante.

Ma l’asterisco o lo schwa per me è un deturpamento. Non riesco a usarli e non ne trovo il senso. E’ un’interruzione brusca, un voler nascondere le differenze anziché metterle in mostra.

Le differenze vanno rispettate, non nascoste.

L’asterisco e lo schwa, nel perseguire l’obbiettivo di rendere tutti uguali, nasconde e annulla le differenze.

Ripeto, l’intento di rendere il linguaggio inclusivo è nobile, ma il mezzo non mi convince, soprattutto se punta ad annullare le differenze, anziché includerle davvero.

Non entro qui nel merito se siano lettere, suoni, se facciano parte di diritto nel linguaggio italiano, se siano in grado di reggere il linguaggio online e i meccanismi della Seo, degli algoritmi, etc…. Non mi interessano questi aspetti tecnici. Di certo se ne dovrà tener conto, ma la mia preoccupazione è altra.

Stamattina mi è arrivata una comunicazione dalla scuola di mio figlio, che frequenta la seconda elementare, per un progetto di ascolto attivo. Molto bello. Leggendo le varie indicazioni, a un certo punto eccoli lì, gli asterischi, al posto del plurale maschile.

So che alcuni licei hanno adottato questa modalità di linguaggio inclusivo, annullando le differenze tra studenti e studentesse. Ora questo probabilmente succederà alle elementari. Magari già in seconda, dove stanno appena imparando a scrivere mettendo l’apostrofo davanti a un per i nomi femminili.

È questo davvero il modo per ottenere un linguaggio inclusivo?

Che il rispetto della persona passi dal linguaggio è fuor di dubbio e io per prima credo nell’importanza di impegnarsi per usare parole inclusive. Abbiamo la fortuna di parlare la lingua più bella del mondo, ricca in vocaboli, sinonimi…ma possiamo anche inventare vocaboli nuovi, perché no? Usando le parole, le lettere che conosciamo e che fanno parte della nostra tradizione linguistica.

Uno studente che non si sente né uomo, né donna, certamente vorrebbe essere chiamato nel modo che più gli aggrada, perché non vuole essere identificato nei due generi principali. E’ giusto, giustissimo. E perché appiattire tutto aggiungendo un asterisco, cancellando così di colpo chi invece è felice di sentirsi donna o uomo e ha piacere a farlo sapere in giro?

Il plurale maschile non sempre risolve tutto e sono d’accordo. Come detto, cerco sempre di distinguere usando parole diverse (invece di uomini e donne, uso umanità, invece di maestri e maestre, uso corpo docenti, etc..)

Proviamo a trovare nuove parole per chi non si identifica nei generi tradizionali. Attingiamo al latino, attingiamo alla nostra storia, giochiamo con l’etimologia, sperimentiamo nuove forme di linguaggio che possano assecondare i vari generi. E metterli tutti in evidenza.

Non sarebbe più bello un mondo così ricco di generi diversi che vogliono far sentire la loro voce e rimarcare la loro esistenza, anche attraverso parole dedicate, anziché nasconderci tutti dietro un asterisco e perdere le nostre singole identità?

Lascio aperto il dibattito.

Io, finché avrò vita, e a meno che non me lo impongano per legge, non userò mai né asterischi né schwa né qualsivoglia simbolo che anziché far emergere le bellissime differenze dell’umanità, le estinguono.

Viva le differenze, viva il linguaggio inclusivo, viva l’Italiano!

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