Giornalista e blogger sono la stessa cosa?

Leaves nature and keyboard.Small green plant growing from white computer keyboard.Technology with nature concept

Ovviamente no. Ma la domanda non è casuale e nemmeno l’implicita provocazione.

Certamente, un giornalista può essere un blogger ma il contrario non è automatico, nè scontato.

Sono due figure diverse e nel blogger ci metto dentro anche divulgatori, influencer, scrittori della qualsiasi…chiunque scriva per gli altri, ma senza essere iscritto a un ordine di giornalisti.

Ma la differenza tra un giornalista e…. altro da lui, non è solo nel detenere o meno un tesserino professionale.

Un tempo il giornalista era l’unica figura che faceva da collante e interprete della realtà, tra il mondo e i lettori/cittadini. Non a caso il giornalismo è chiamato Quarto Potere.

Ma in questo io ci ho sempre un’enorme responsabilità, più che una brama di potere inteso come controllo.

Il giornalista ha il potere di rendere nota una notizia, nel modo più comprensibile e trasparente possibile.

Un super potere, in effetti. Bello e difficilissimo.

Ma non può farlo a caso. Il giornalismo non è un semplice mettere nero su bianco quello che succede (ammesso che sia già semplice un esercizio del genere) ma occorre riportarlo in modo coerente con la realtà fattuale, lasciando giudizi e opinioni propri fuori dal racconto dei fatti.

Non parlo di oggettività. L’oggettività nel giornalismo è una chimera, lo sappiamo.

Già nella scelta del titolo, nel modo in cui decidiamo l’incipit, la disposizione dei fatti, di chi parla prima tra gli esperti intervistai e chi dopo, di chi intervistare e chi no…sono tutte azioni soggettive. Basta cambiare la disposizione di tutti questi elementi e leggerete un’altra storia.

Quindi più che oggettivi, occorre essere aderenti alla verità fattuale e riportare, se servono, tutte le opinioni utili per comprendere ciò di cui si parla.

Esiste un codice deontologico per noi giornalisti: diverse carte e documenti riassunti oggi nel Testo Unico dei Doveri del Giornalista. Per me una Bibbia. Perfettibile, certo. Ma fondamentale.

Sono tanti gli aspetti di cui dobbiamo tenere conto quando si scrive: dalla tutela dei minori al linguaggio corretto da usare quando si parla di stranieri, dall’informazione che rispetta le differenze di genere alla tutela dei soggetti più deboli, compresi i pazienti. È un testo in cui mi rivedo molto perché la scrittura etica per me è l’unico modo per fare giornalismo.

La scrittura che rispetta, che non urla, che non viaggia per stereotipi, non banalizza, non cerca il sensazionalismo.

Casa mia.

In tutto questo noi giornalisti siamo soli. Chi fa comunicazione ma non appartiene al nostro mondo, non ha quindi in tasca il tesserino di pubblicista o professionista, non è iscritto all’Ordine dei Giornalisti e non ha doveri deontologici, può scrivere quello che vuole.

Semmai risponderà di diffamazione, nei casi più gravi. Ma è libero, ad esempio, di fare pubblicità senza indicarlo chiaramente, di riportare le notizie in modo parziale, e in generale di non rispettare nessun obbligo che attiene invece la nostra categoria.

 Obblighi.  Che poi per me sono doveri essenziali, senza i quali non esiste la buona informazione.

In poche parole, oggi il giornalista non è più il solo tramite che trasforma i fatti in parole e immagini e aiuta la comunità a comprendere la realtà e il mondo in cui viviamo. Esistono altre figure: dai blogger, ai divulgatori, agli scrittori della qualsiasi, fino agli influencer.

Attori dell’informazione anche loro, che però a differenza dei giornalisti, non hanno alcun obbligo deontologico nel fare informazione.

Se non il senso dell’etica e della trasparenza che ognuno di noi dovrebbe avere, ma quando non è imposta, chissene. Giusto?

Noi giornalisti nei nostri articoli dobbiamo stare ben attenti a non mischiare mele con pere: il messaggio pubblicitario, ad esempio, deve essere ben distinto dal messaggio giornalistico e il giornalista non può prestare la propria immagina o voce per promozioni che non siano di carattere sociale o culturale.

Credete che anche gli altri, i NON giornalisti, abbiano questi obblighi?

Nossignori. Possono fare quello che vogliono: fare informazione e farla come meglio credono, mischiando pubblicità e contenuti informativi, mettendo le loro opinioni, infischiandosene delle fonti e delle verifiche.

E il lettore comune, secondo voi, ha gli strumenti per comprendere che quello che legge non è scritto da un giornalista, ma da altre figure che non hanno i suoi stessi obblighi deontologici e non hanno intenzione di rispettarli?

Ma la domanda che nessuno fa è: il Testo Unico dei Doveri del Giornalista non dovrebbe valere per chiunque faccia informazione al pubblico?

E visto che non vivo nel mondo delle banane, lo so anche io che anche nel mio settore ci sono colleghi che si dilettano nelle cosiddette “marchette” costruendo articoli parlando solo di un’azienda o di un prodotto e spacciandolo per informazione giornalistica.

Il confine è labile in certi casi. Intervistare il Ceo di un’azienda può avere valore giornalistico, non è necessariamente una marchetta. Questo è vero se il contenuto dell’intervista non verte sull’azienda in sé ma sul punto di vista del Ceo su un intero settore o fenomeno economico. Se invece si parla solo della sua azienda, allora è una marchetta, senza se e senza ma.

Sul mondo delle marchette giornalistiche c’è da scrivere fiumi di parole, ma oggi mi preme intanto fare una linea di demarcazione tra chi fa giornalismo e chi fa altro.

Tornando ai blogger e compagnia cantante, questi non hanno nessun dovere in termini di pubblicità: possono scrivere e parlare liberamente di marchi, dicendo che li usano, che si trovano bene, decantandone le lodi. Celebre è il caso dei food blogger ben raccontato in una famosa puntata di Report, in cui alla vita palesemente pubblicitaria di Chiara Maci (che a onor del vero è una delle poche che scrive chiaramente quando sta facendo pubblicità) si contrappone quella di altri food blogger che farebbero pubblicità occulta a certi prodotti inseriti nelle loro ricette.

L’informazione sta diventando sempre più pubblicità e sempre meno contenuto utile e disinteressato. Questo è un dato di fatto. E ai lettori non vengono dati gli strumenti giusti per comprendere queste differenza.

Per il lettore, un articolo scritto su una testata giornalistica o su un portale/blog hanno la stessa credibilità. Se il primo però è realizzato secondo una precisa deontologia, il secondo invece non ne rispetta alcuna, il lettore non lo percepisce e prenderà per vera qualsiasi informazione.

Detto questo, ci sono anche tanti blogger che invece scrivono in modo corretto ed etico, ma lo fanno per scelta, non sono obbligati.

Se le regole deontologiche valgono solo per una delle tante categorie che fanno informazione al pubblico (non più l’unica) come si può assicurare un’informazione etica e trasparente?

Come si possono arginare le fake news, le bufale, le informazioni distorte, le pubblicità occulte…..se sono solo i giornalisti a dover seguire certe regole nella comunicazione?

Noi rischiamo richiami e sospensioni, se non radiazioni dall’albo quando non rispettiamo gli obblighi deontologici. E in caso di diffamazione, fino a pochi mesi fa il giornalista rischiava il carcere. Recentemente la Corte Costituzionale ha ribadito il carcere solo nei casi più gravi. Ma tutto questo, lo ribadisco, riguarda solo i giornalisti. Una minima parte di chi oggi informa in Rete.

Per riprendere il tema della pubblicità, la differenza tra giornalismo e marchette (che siano fatte da noi, da blogger o altri) è questa: quando scrivo un articolo giornalistico, il mio unico interesse deve essere quello di riportare qualcosa di utile per il lettore, fornendogli un’informazione chiara, completa, esaustiva, disinteressata. Non devo compiacere aziende o altri soggetti che possono essere citati nell’articolo.

Esempio pratico. Vuoi scrivere un articolo sulla pizza migliore di Milano? Guarda qualche sito di recensioni e guide gastronomiche serie, fai una selezione delle pizzerie migliori, mettiti fuori da ognuna di queste, intervista un paio di avventori, raccogli i loro commenti e poi semmai intervisti anche i ristoratori e i pizzaioli.

Difficile? Eh già. Ma quale interesse stai soddisfando così? Quello dei ristoratori o dei lettori che vogliono sapere quale sia la pizza migliore?

Se invece riporti solo il nome dei quattro ristoranti migliori, scelti perché questi ti hanno pagato, ma ti dimentichi di riportare questa informazione al pubblico, ecco qui stai facendo gli interessi dei ristoratori, non del pubblico.

È un esempio banale, ma vi fa capire la differenza tra un lavoro giornalistico e uno che non lo è.

Chiunque può scrivere seguendo le regole del buon giornalismo, anche senza avere il tesserino in tasca. Magari fosse così. Ne conosco di blogger che scrivono come giornalisti, anche meglio di chi si professa tale. Ma sono una minoranza del mare magnum dell’informazione che ci inonda ogni giorno.

Ben inteso: chiunque scriva al pubblico, anche un giornalista, e voglia farlo con articoli parziali (nel senso “di parte”, cioè che avvallano un’opinione, in questo caso quella di chi scrive, senza sentirne altre), è libero di farlo. Ci sono alcuni giornalisti che hanno blog personali. Ma, per l’appunto, quando vi scrivono sottolineano che sono pensieri personali. Lo si vede anche nei profili dei social che usano: quando li usano in forma personale, avvisano ( non lo fanno tutti, ma andrebbe fatto).

Questo è il mio blog personale, ad esempio. Nella parte introduttiva del blog spiego che questi sono pensieri personali, come quello che sto scrivendo. E’ un po’ come se fosse un editoriale o un commento che si trovano nei vari giornali, scritti dal Direttore o da esperti. Sono punti di vista.

Una volta che si chiarisce che cosa stai scrivendo, per quale scopo e a chi ti rivolgi, è tutto più chiaro e trasparente. Ma chi lo fa?

Un blogger o influencer che vive di contenuti pubblicitari inseriti in ogni articolo, per essere corretto dovrebbe semplicemente scrivere, in ogni articolo, che sarà presente informazione pubblicitaria e che è stato pagata o pagato per parlarne. Ne va della sua credibilità? Beh, se ha costruito il suo marchio su contenuti pubblicitari, i lettori lo sanno e semmai apprezzeranno la trasparenza. Anche se il dubbio, a questo punto, sarà: mi sta consigliando questo prodotto perché ci crede veramente o perché l’azienda lo ha pagato?

E qui si gioca l’autorevolezza del blogger o influencer.

Qualche tempo fa l’Antitrust aveva chiesto agli influencer di inserire l’hashtag #adv nei post che contenevano pubblicità occulta. Alcuni lo fanno, altri no.

Sappiate che i lettori apprezzano sempre la trasparenza.

Sono le aziende che odiano essere relegate nei box con su scritto “Informazione Pubblicitaria” e preferirebbero di gran lunga finire negli articoli firmati dai grandi giornalisti.

Ma non funziona così, mi spiace. Nel mio articolo ci finisci se quello che fai è interessante per chi legge e soprattutto non ci finisci da solo. Cito te e altre aziende simili. Come minimo.

Ma le aziende hanno trovato una scorciatoia per ottenere pubblicità sotto forma di informazione: blogger e influencer. Le prime ottengono endorsement da personaggi famosi e seguiti, una pubblicità che vale molto di più di qualsiasi inserzione e i secondi trovano soldi facili, senza infrangere nessun obbligo. A parte quelli morali, ma di questi tempi non vanno più di moda.

Se quando si scrive per il pubblico non si ha una guida, un faro, che imposti la scrittura, la renda etica e trasparente, quale può essere il limite tra informazione corretta e pubblicità?

Il limite non c’è più, semplice.

E se per gli influencer e i food blogger possiamo farcene una ragione ( sono pubblicità viventi, con contenuti interessati e parziali il più delle volte) per chi si occupa di altri settori e non è giornalista, lo capisco meno.

E capisco ancora meno le marchette fatte dai colleghi. O la brutta abitudine di alcuni di farsi pagare dalle aziende per pubblicare i loro comunicati sotto forma di articoli giornalistici puri.

Ma questa è un’altra storia di cui parlerò a breve.

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