Arrivano le ferie. E ancora prima di partire fisicamente, la nostra mente viaggia e immagina quel momento fatidico in cui si staccherà completamente dalla solita routine.
“Vado in ferie”, “Devo staccare”, “Finalmente vado in vacanza, non ne posso più”.
Ma da cosa dobbiamo staccarci esattamente?
Mi viene in mente la frase che disse Sergio Marchionne, pochi giorni dopo il suo arrivo in Fiat, quando il marchio perdeva cinque milioni di euro al giorno: entrando in ufficio si chiese perché non ci fosse nessuno. Era agosto del 2004. Alla risposta che erano tutti in ferie, si chiese, “In ferie da cosa?”.
Per Marchionne il concetto di vacanza era diverso da quello dell’italiano medio e la domanda credo fosse una reazione alla situazione disastrosa in cui versava la Fiat, dove l’ultima cosa da fare, in quel momento, era andare in ferie. Marchionne tacciava il nostro paese di un certo provincialismo, e credo non avesse tutti i torti.
Quella frase mi rimase impressa e la feci mia.
Il mio non è un invito ad amare incondizionatamente il lavoro al punto da rendere superflua qualsiasi vacanza. Non sono stacanovista, non vivo per lavorare.
Ma non ho questa ansia di dover andare in ferie.
Mi interessa capire da cosa ci vogliamo staccare.
Lo stress del lavoro, degli impegni quotidiani, della stanchezza mentale. Può essere questo.
Oppure staccare completamente, perché il lavoro non piace e quindi quei pochi momenti “liberi” dell’anno, come appunto le ferie estive, sembrano salvifiche.
Voi da cosa staccate?
Io non stacco mai. Intendo con la testa. A livello operativo mi prendo una pausa, ma è una pausa in cui in realtà la mia mente continua a girare a mille, perché non sono in grado di “staccare la spina”. Non lo voglio nemmeno fare.
E ora vi spiego perché.
Non stacco, dicevo. Semmai cambio ritmo. Vado via da casa per un po’, magari al mare. E già il cambiamento produce in me effetti positivi.
Vedo posti nuovi, incontro nuove persone, faccio diverse esperienze. Tutte attività che alimentano le mie sinapsi e nutrono le mie passioni.
Le vacanze per me sono un momento d’oro da cui attingere nuove energie, progetti, idee per la mia professione. Altro che staccare.
Non mi riposo. Con due bambini piccoli andare al mare può essere più stancante che stare a casa a lavorare, ve lo assicuro.
Ma il cambiamento ci vuole e per me significa questo: esplorare nuovi lidi, trovare nuove forze, mettermi alla prova. Cercare pesci sott’acqua insieme a mio figlio di sette anni o andare sulle macchinine al luna park con quello di tre, ridendo come una bambina, sono esperienze dirompenti, ve lo assicuro. Riattivano parti del cervello che quando lavoro normalmente sono dormienti.
Stuzzicare la bambina che è in me è un’attività preziosa per la mia professione. Perché stimola la mia curiosità innata, fondamentale per il lavoro che faccio e mi permette di continuare a sorprendermi, altra facoltà essenziale per chi si occupa di giornalismo.
L’altro giorno ho fatto una breve escursione con una piccola barca a motore, noleggiata alle porte di Porto Cesareo, in provincia di Lecce. Era una vita che non andavo su una barca.
L’ultima volta era da piccola. Avevo dieci anni anni. Papà in estate, le poche volte che non lavorava, noleggiava qualche volta un’imbarcazione a Santa Marherita, in Liguria, e stavamo fuori tutta la giornata, insieme a mamma e a mio fratello. Tanti bagni, si mangiava a bordo con i panini buoni preparati da mamma oppure si faceva un salto in un ristorantino sulla spiaggia.
L’altro giorno, mentre il vento mi arruffava i capelli, Alessandro mi stava avvinghiato come una cozza, Leonardo si gustava il paesaggio mentre Andrea guidava la barchetta, sono tornata bambina. Ho ripercorso quei bei ricordi, fatti di cose semplici e straordinari proprio per questo. Al largo dello Ionio il mare blu somiglia al mar Ligure. Ho guardato quello specchio d’acqua e i ricordi sono riaffiorati sulla superficie. Cibo per la mia mente e la mia energia.
Ma ogni giorno in vacanza è anche occasione per pensare ai progetti a cui devo dedicarmi quando rientrerò. mi viene naturale, non mi sforzo. non è un impegno, è un’attività cerebrale tanto piacevole quanto naturale.
Uno scambio di battute con perfetti sconosciuti, una scenetta a cui assisto per caso in spiaggia, un discorso ascoltato di corsa mentre attendo il caffè al bar, sono tutti ottimi spunti da cui trarre ispirazione per migliorare il mio lavoro.
Io non stacco mai, con la testa. A livello operativo sì, anche se comunque in queste tre settimane ho scritto tre articoli, e il pc è sempre nel bagagliaio ovunque io vada. Ma cerco comunque di essere meno operativa, non perché sono stufa di lavorare, ma proprio per lasciare uno spazio vuoto da colmare con le nuove esperienze che la vacanza mi regalerà. Un tempo nuovo che mi arricchisce e affina anche la mia professione.
Credo che tutto dipenda da come si vive il lavoro. Che per me non è lavoro, mi pare chiaro. È una parte importante del mio essere, che mi mantiene presente, focalizzata, che mi inquieta e mi elettrizza: una continua linfa vitale che non smette mai di scorrere nelle mie vene, e nei tempi di vacanza semmai scorre in modo diverso, riprendendo nuove energie.
E voi come staccate? Che cosa rappresentano per voi le ferie? E come vivete la vostra professione?