Dopo i recenti fatti sul vaccino AstraZeneca, improvvisamente iniziamo a parlare di comunicazione del rischio.
In questi dodici mesi in cui la comunicazione sulla Covid-19 è stata a dir poco catastrofica sotto tanti aspetti (da parte delle istituzioni, di certi medici e ricercatori e di buona parte dei grandi media italiani) oggi con il caso AstraZeneca ecco che gli esperti di comunicazione escono fuori dalle tane in cui evidentemente sono stati chiusi in questi mesi e urlano allo scandalo.
Fanno bene, ovvio. Ma avrei apprezzato lo sforzo se avessero urlato anche nei mesi scorsi. Perché magari se siamo in tanti a dire che certi modi di fare informazione non vanno bene, scempi come quelli a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi forse si sarebbero potuti evitare.
Comunque, visto che tutti parlano del tema, ne parlo anche io.
Lungi da me illustrarvi indagini statistiche, confrontare numeri, provare a convincervi che il rischio zero non esiste, che le morti per vaccini ci possono essere, ma sono un rischio infinitesimale rispetto a quelle che potrebbero verificarsi se non ci vacciniamo. Altri hanno spiegato molto meglio di me concetti come questi.
Io invece amo soffermarmi sulla potenza delle parole.
Più che di comunicazione, vi parlo della parole del rischio. O del rischio delle parole.
Le parole possono lenire, esaltare, coccolare, donare energia, forza, supporto.
E possono distruggere, umiliare, violentare.
O vanificare gli sforzi interi di una nazione che prova a uscire dalla peggior crisi sanitaria dell’epoca post bellica, aggrappandosi all’unica cosa che forse ci può salvare: i vaccini. Le parole possono vanificare un’intera campagna vaccinale. Eh già.
Perché a conquistarsi la fiducia di un popolo ci vogliono anni. A perderla, bastano poche frasi.
Ci ha pensato AIFA, e a darle manforte sono stati molti media italiani che hanno cavalcato l’ondata emotiva dovuta ai primi decessi dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca.
Non ho visto però altrettante ondate emotive per gli effetti avversi di Pfizer e Moderna, che ci sono stati e non sono stati pochi o trascurabili, anzi. Ma a ben vedere come i media hanno raccontato le cose e il focus di AIFA, pare che sia solo AstraZeneca il vaccino da tenere sotto controllo.
Ma torniamo alle parole e a quanto male siano state usate.
Il 14 marzo l’Agenzia Italia del Farmaco, in risposta alle segnalazioni sui decessi dopo la somministrazione di AstraZeneca, emette questo comunicato, poche parole che riporto di seguito:
I casi di decesso verificatisi dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca hanno un legame solo temporale. Nessuna causalità è stata dimostrata tra i due eventi.
L’allarme legato alla sicurezza del vaccino AstraZeneca non è giustificato.
AIFA sottolinea che le attività di farmacovigilanza proseguono sia a livello nazionale che europeo in collaborazione con EMA, monitorando con attenzione possibili effetti avversi legati alla vaccinazione.
AIFA rassicura fortemente i cittadini sulla sicurezza del vaccino AstraZeneca per una ottimale adesione alla campagna vaccinale in corso.
Leggete bene le frasi in rosso, errori gravissimi di comunicazione. Parole lanciate a caso, senza riflessione (voglio augurarmi che non ci sia stata nessuna riflessione).
- Allarme non giustificato
- Aifa rassicura fortemente (fortemente!!)
Due bombe nel giro di poche frasi.
Primo: non è compito di AIFA definire se un allarme sia giustificato o meno, a meno che non ne sia assolutamente, e ribadisco assolutamente, sicuro. Visto che in medicina già in generale è difficile avere certezze granitiche, con un vaccino che si sta somministrando per la prima volta a milioni di persone e sui cui al momento (come per gli altri vaccini anti COVID) ci sono pochissimi studi, perché non sono anni che usiamo questo vaccino (sono giorni), le certezze sono davvero poche.
Secondo: AIFA rassicura….rassicura cosa esattamente? In base a quali dati?
Credo, e parlo da un punto di vista della comunicazione, che il compito di chi deve informare il pubblico non sia quello di allarmare o tranquillizzare, terrorizzare o infondere speranze.
Chi informa lo deve fare senza cavalcare onde emotive, basandosi solo sui fatti.
Senza dare sberle o pacche sulle spalle.
Se AIFA si fosse limitato a scrivere:
I casi di decesso verificatisi dopo la somministrazione del vaccino AstraZeneca hanno un legame solo temporale. Nessuna causalità è stata, al momento, dimostrata tra i due eventi. AIFA sottolinea che le attività di farmacovigilanza proseguono sia a livello nazionale che europeo in collaborazione con EMA, monitorando con attenzione possibili effetti avversi legati alla vaccinazione
….non ci sarebbe stato nessun allarme e nessuna rassicurazione. Solo fatti.
Ho aggiunto “al momento” rispetto al testo originale, perché va specificato a caratteri cubitali che le informazioni che si danno sul vaccino si basano sui dati di cui disponiamo oggi. Domani potrebbero essere diversi…
Con un comunicato così, forse l’incredulità e il vuoto di fiducia scatenati dopo il comunicato del 15 marzo, che di fatto sospendeva la somministrazione, andando contro quanto affermato il giorno prima, forse dico si sarebbero potuti evitare.
Mi sono già espressa tante volte su come i media cavalchino le emozioni e al posto di una titolazione ragionata offrano titoli emotivi, che fanno leve su paure e speranze e lasciano la verità fattuale nei tagli bassi, o nei commenti nelle ultime pagine.
La comunicazione pubblica dovrebbe prescindere dall’emotività. Soprattutto quando si parla di aspetti come la salute pubblica, propaganda ed emozioni dovrebbero rimanere fuori dalla porta.
E invece i nostri politici e le nostre istituzioni si fanno sempre prendere da eccessivo paternalismo, voglia di rassicurare o redarguire, e perdono di vista il punto su cui dovrebbe basarsi la comunicazione di qualsiasi rischio (di salute ma anche di altri ambiti, penso all’ambiente e al cambiamento climatico). La verità basata sui fatti, senza rassicurazioni o anatemi.
Il punto è che su questi vaccini si sa molto poco in termini di effetti avversi sulla popolazione generale (miliardi di persone). Si sa un po’ di più sul profilo della tossicità e sicurezza generale del farmaco, ma solo sperimentandolo su milioni di persone conosceremo gli effetti reali e l’efficacia reale ( al momento per esempio ci sono ragionevoli certezze sulla protezione nell’insorgenza della malattia ma non sull’infezione, per esempio).
Perché dico questo? Perché sarebbe stata utile un po’ più di informazione sui vaccini anti-COVID prima di far partire la campagna vaccinale.
Io non riesco ancora a capire perché non sia stata fatta a priori una campagna di comunicazione che spiegasse bene come funzionano le vaccinazioni, rischi possibili, eventuali avventi avversi (per quello che si può sapere ad oggi). Mi riferisco ai soliti video esplicativi che di solito fanno i ministeri per comunicare varie campagne o iniziative.
Tipo quelle che ci friggono l’anima prima delle elezioni e dei referendum, che ti spiegano venti volte al giorno in tv o alla radio dove mettere la crocetta e come recarsi ai seggi…ecco, una cosa del genere sulle vaccinazioni anti COVID non è stata fatta, a parte forse qualche iniziativa sporadica…
La campagna antinfluenzale, paradossalmente, ha funzionato molto meglio perché quest’anno avrebbero voluto vaccinarsi anche persone che non lo avevano mai fatto (io per esempio avrei voluto vaccinarmi ma in Lombardia non c’erano abbastanza vaccini…).
Tornando al tema, AIFA, quando ha scritto il comunicato “tranquillista” del 14 marzo ( e altri media che, al contrario, si sono permessi di terrorizzare il pubblico con titoli a nove colonne) non poteva avere certezze assolute sugli effetti avversi, se non rifacendosi a tendenze statistiche: perché allora rassicurare mentre altri paesi stanno sospendendo il farmaco, per poi sospenderlo dopo aver rassicurato?
Come per la scienza, anche per la comunicazione della scienza si deve procedere a piccoli passi, accogliendo il dubbio come monito nel non esprimere eccessive sicurezze di cui non si dispone. Comunicare quello che si può, nel modo più aderente alla realtà, è l’unica cosa da fare e pazienza se il messaggio che ne esce fuori è freddo e poco consolatorio.
Nel breve periodo le persone potranno sentirsi un po’ perse senza le solite carezze del paternalismo istituzionale….poi con il tempo apprezzeranno, impareranno a decifrare loro stessi queste verità nude, crude e insapori e a decidere se allarmarsi o meno.
Chi fa informazione non deve suggerire al lettore come interpretare le notizie. Si deve limitare ai fatti.
Ci sono solo due motivi per cui è giustificato rassicurare o allarmare: per fede o per amore.
Genitori e preti, amanti e fratelli, amici, per dirla in modo semplice, si possono permettere di attingere a piene mani tra le emozioni per far raggiungere un obbiettivo.
Tutti gli altri no.