Scrivere per “gli ultimi”

Per molto tempo, ai corsi di giornalismo, il mensile Focus veniva citato come esempio di buon giornalismo medico e scientifico. In effetti, è tra i mensili più venduti in Italia. Ha avuto (e ha ancora) tanto successo perché ha saputo, e sa, scrivere “per gli ultimi”. Non esiste solo questo mensile come esempio di buon giornalismo, ma è di sicuro il più emblematico. 

Gli “ultimi” sono coloro che non dispongono di tutti i mezzi per comprendere bene un testo, un’analisi, uno studio scientifico. Scrivere per gli ultimi non significa semplificare o banalizzare, anzi. Significa impegnarsi il doppio del normale per rendere semplici concetti complessi.

Perché non devi dare nulla per scontato: non puoi scrivere “rivista peer review” pensando che la gente sappia cosa stai dicendo, o dire che uno studio non è stato ancora revisionato dalla comunità scientifica senza specificare che cosa significhi questo passaggio. Non puoi tralasciare le fonti, buttare qua e là numeri senza spiegarli, usare paroloni o semplificare in modo eccessivo.

Perché le persone leggono per conoscere, apprendere cose nuove, acquisire nuovi strumenti per interpretare il mondo che li circonda. Nostro compito è semplificare gli argomenti, renderli accessibili, al netto di giudizi, commenti, opinioni.

Scrivere per gli ultimi è ancora più difficile rispetto a scrivere per chi gli argomenti medici li mastica bene.

La vera differenza tra il giornalismo medico di oggi e quello degli anni 80’ e 90’ è soprattutto questa: oggi si preferisce scrivere per un target più specifico e preparato, dimenticandosi degli ultimi che in realtà sono la parte più numerosa di chi legge i giornali.

Come detto, ci sono bravissimi professioniste e professionisti, ma in molti casi, anche nelle grandi testate, chi scrive di tematiche mediche lo fa pensando a un target di pari o di livello superiore.

È un errore che ho commesso anche io, e non poche volte. Mi ricordo ancora quando scrissi, in un articolo sul reflusso laringofaringeo per un’importante testata nazionale, che “l’eziologia di questa patologia non è nota” e come fui redarguita dal direttore della testata: “Scrivi per la casalinga, non per i medici”. Una parte di me avrebbe voluto lasciare quel termine, così elegante ed esaustivo. Ma se lo avessi fatto, quanti lettori lo avrebbero compreso?

A quanti sarebbe davvero servito il mio articolo? A pochi.

Pensate sempre agli ultimi quando scrivete. E non sbaglierete.