In un momento storico come quello attuale, con un’infodemia dilagante, l’esplosione di fake news e un’informazione che rincorre più il sensazionalismo che la verità fattuale, interrogarsi sull’etica del giornalismo non è solo un esercizio di stile, ma una necessità impellente.
Sono giornalista da oltre 16 anni. Nel lontano 2004 fare informazione era faticoso, nel vero senso del termine: ci si consumava la suola delle scarpe a caccia di notizie e ci bruciavano le orecchie per le ore passate al telefono a verificarle. Perché nei primi anni del duemila Facebook non esisteva, internet era una Rete di servizi e di intrattenimento, ma ancora non era diventato il catalizzatore dell’informazione che è oggi. La velocità era importante, ma non essenziale. Era fondamentale verificare le notizie prima di pubblicarle, dare nome e cognome ai volti che si intervistavano, sentire tutte le “campane” coinvolte per descrivere ogni fatto di cronaca, anche il più piccolo.
Oggi pare che questo mondo, di cui io mi ero innamorata e in parte lo sono ancora, non esista quasi più. Certamente ci sono validi colleghi, ma il modo di fare questa professione è cambiato.
L’etica si è persa per strada.
Oggi vince chi pubblica prima, chi genera più click e più like, in barba alla verifica e all’attendibilità dei fatti. E, soprattutto, alla loro reale utilità per la popolazione. Le fake news dilagano perché il giornalismo non ha saputo fare da argine e anzi spesso ne è stato vittima. La pandemia da coronavirus ha fatto emergere altre ombre sull’informazione: poca voglia di approfondire, minima conoscenza di come si leggono gli studi scientifici, ricerca del sensazionalismo con microfoni sempre accesi sui virologi e infettivologici di turno.
I doveri del giornalista
Parlando di etica del giornalismo, iniziamo dal principio, provando a rispondere a questa semplice domanda: che cosa si aspetta la società da noi giornalisti?
Per rispondere al quesito, partiamo dai nostri doveri. Analizzo soprattutto il giornalismo in ambito medico perché è quello in cui sono specializzata, ma la superficialità che ha intaccato l’informazione italiana è trasversale e riguarda tutto il giornalismo.
La deontologia, termine coniato nella prima metà dell’Ottocento dal filosofo utilitarista Jeremy Bentham, è intesa come l’insieme delle regole morali che disciplinano l’esercizio di una determinata professione: significa letteralmente studio del dovere (dal greco deon δέον -οντος e loghìa, λογία).
L’etica, da èthos (dal greco antico carattere, consuetudine, comportamento) è quella branca della filosofia che indaga il comportamento umano di fronte ai concetti del bene e del male.
Il Testo Unico dei Doveri del Giornalista è tanto essenziale quanto efficace. Basterebbe rispettare le sue regole per applicare l’etica al giornalismo.
Mi riferisco soprattutto all’art.6 che già da solo è sufficiente per impostare un’informazione deontologicamente corretta, soprattutto nel settore della salute e della medicina.
Ve lo riporto.
Art. 6
Doveri nei confronti dei soggetti deboli
Il giornalista:
- rispetta i diritti e la dignità delle persone malate o con disabilità siano esse portatrici di menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali, in analogia con quanto già sancito per i minori dalla «Carta di Treviso»;
- evita nella pubblicazione di notizie su argomenti scientifici un sensazionalismo che potrebbe far sorgere timori o speranze infondate;
- diffonde notizie sanitarie solo se verificate con autorevoli fonti scientifiche;
- non cita il nome commerciale di farmaci e di prodotti in un contesto che possa favorirne il consumo e fornisce tempestivamente notizie su quelli ritirati o sospesi perché nocivi alla salute.
L’art. 6 parla dei soggetti deboli ma io mi permetto di parlare anche dei pazienti in generale, per coloro che lo sono stati o potrebbero diventarlo: il compito di un giornalismo etico è garantire l’empowerment del paziente e del cittadino, vale a dire rendere questi soggetti consapevoli e padroni del proprio benessere. Le persone devono essere in grado di compiere scelte e prendere decisioni razionali, basate su una conoscenza acquisita tramite fonti di informazione corrette e trasparenti. E questo vale non solo nel campo medico, ma in qualsiasi altro ambito della società.
L’etica nel giornalismo presuppone correttezza, trasparenza, competenze (vale a dire conoscenza del tema di cui si sta scrivendo), adesione alla verità fattuale. Il giornalismo non ha il compito di allarmare o infondere speranze. Deve solo raccontare i fatti nel modo più oggettivo possibile. E questa obbiettività deve essere applicata a tutti gli elementi che compongono una notizia: dalla scelta del tema, al titolo, al racconto.
L’etica della notizia
Quando una notizia merita di essere pubblicata?
Quando è interessante. E utile. Soprattutto se parliamo di medicina.
Faccio qualche esempio di articoli pubblicati in questi mesi sulle maggiori testate italiane: è utile pubblicare i messaggi di una chat di medici che sta sperimentando una cura? No, perché se non spiegata adeguatamente, questa informazione può generare falsa attesa e speranza in chi legge, e non ha le competenze per comprendere che si tratta di una sperimentazione iniziale.
Ancora: scrivere di uno studio scientifico riportando come assoluti (e quindi validi per gli uomini) risultati riscontrati solo su animali, è interessante e utile? Lo è se si spiega il contesto e i limiti dello studio, no se si usano i risultati per infondere false speranze.
Ci vuole competenza, l’etica richiede anche questo per saper discernere tra un argomento valido e uno inutile, tra uno studio clinico e uno condotto su animali, tra un comunicato stampa diffuso da un’azienda e una fonte autorevole.
Il giornalista deve ridiventare segugio delle notizie, riscoprire il valore della deontologia ed essere severo controllore delle informazioni che circolano e che intossicano, proprio come un virus, l’informazione.
Non c’è buona informazione senza etica.